Era il 2 marzo quando Matilde arrivò con la sua famiglia in quella casetta a due piani dalle persiane color kiwi.
Castagna, l’albero del giardino, li osservava mentre scaricavano mobili e scatoloni da un furgoncino bianco e poi li portavano in casa.
Luigino prendeva le cose più piccole e leggere; il suo nome in realtà era Luigi, ma sembrava a tutti un nome da grande, poco adatto ad un bambino di sei anni e mezzo.
I genitori, Ada e Giorgio, sembravano simpatici: erano stanchi per via degli scatoloni, a loro infatti toccava portare i più pesanti ma l’entusiasmo superava di gran lunga la fatica. Avevano aperto un piccolo ristorante proprio nella piazzetta del paese, vicino alla chiesa; per questo la scelta di trasferirsi dalla città era sembrata la cosa più giusta da fare e poi erano sicuri che la casetta dalle persiane color kiwi sarebbe piaciuta ai loro bambini, soprattutto per il giardino.
Matilde invece non sembrava affatto contenta né degli scatoloni, né della casa e tanto meno del giardino. Aveva nove anni, quasi dieci, lei si occupava delle scatole non troppo leggere e non troppo pesanti, sembrava imbronciata e, soprattutto, non aveva degnato l’albero di uno sguardo.
A quell’ora del mattino tutto sembrava uniforme ed incolore, ricoperto dalla brina ancora gelata e confuso nell’umida nebbiolina che tardava a dissiparsi.
Billy, il loro cagnolino, invece si era accorto subito di Castagna. Dopo un breve giro di perlustrazione, constatato che si trattava dell’unico albero disponibile nel giro di alcune decine di metri, lo aveva premurosamente inaugurato facendo pipì ai suoi piedi. Da quel momento sarebbe stato certamente il prescelto per le sue “annaffiature quotidiane” ma l’illusione non durò molto… Scappò via infatti perché gli era sembrato che uno dei rami dell’albero si fosse abbassato minaccioso verso di lui: «A no» aveva pensato Castagna indispettito, «questo proprio non lo sopporto!»… E il simpatico meticcio dal vago color pane tostato, sbuffando spavaldamente per camuffare il batticuore e insieme la vergogna dopo l’oltraggio subito, rimase tutto il giorno nascosto sotto un cespuglio in un angolo del giardino, aspettando curioso il prossimo movimento di quella “cosa”, distratto soltanto dal passaggio degli altri componenti della famiglia, affannosamente impegnati a svuotare il camioncino bianco e riempire la nuova casa di mobili e scatoloni!
CASTAGNA
Castagna viveva in quel giardino da molti e molti anni, nemmeno lui ricordava con precisione da quanto; era il più anziano, grande, maestoso, imponente ciliegio del paese. Proprio così, un ciliegio.
Lui era lì quando ancora al posto della strada asfaltata c’era un viottolo che portava alla chiesetta; ecco, la chiesetta di certo era più vecchia di lui…
Poi quel ragazzino con i calzoncini corti ma con l’aria di chi sa il fatto suo, aveva detto ad un gruppetto di coetanei, anche loro con i calzoncini corti ma con l’aria di chi sta ascoltando il capo: «Questo è il mio albero, si chiama Castagna».
Castagna conosceva bene quel piccolo monello; a Nicola, così si chiamava, piaceva darsi le arie, far vedere che lui sapeva sempre tutto e prima di tutti e del resto altrimenti che capo sarebbe stato! Il ragazzino aveva infranto il giuramento solenne secondo il quale avrebbe dovuto mantenere il segreto, per sempre; Castagna però lo aveva perdonato.
Un bel giorno di primavera infatti il grande albero fiorì e dopo qualche mese offrì i suoi dolci frutti rossi. Nicola non si dette per vinto: radunò la sua piccola tribù e gonfio di orgoglio e autorità ad un certo punto disse: «Adesso vi rivelerò un segreto che solo io conosco! State bene attenti… Ecco le castagne del mio albero: sembrano ciliegie, lo so, ma sono castagne, castagne magiche e… se le mangerete… se avrete il coraggio di mangiarle, come ho fatto io… l’albero parlerà!…».
I bambini, increduli, affascinati, spaventati e… curiosi, mangiarono quelle sorprendenti castagne che sapevano di ciliegia e poi, guardandosi l’un l’altro per farsi coraggio, attesero che si compisse la magia…
Ad un tratto l’albero si mosse, quasi a fare un inchino ai ragazzini che già solo per quello cominciavano a pensare di scappare a gambe levate, ma qualcosa di più sorprendente li immobilizzò tutti… l’albero li stava chiamando per nome, uno ad uno…
Naturalmente Castagna si era prestato al gioco organizzato da quel monello di Nicola per giustificare ai suoi amici gli originali frutti dell’albero; come se quelle castagne rosse che sapevano di ciliegia fossero più insolite del fatto stesso che quella pianta era in grado di parlare!
Castagna infatti non aveva solo il nome singolare, non era soltanto capace di scacciare i cani poco rispettosi che facevano pipì ai suoi piedi; lui insomma era magico davvero perché riusciva a parlare con i bambini o forse erano i bambini che riuscivano a parlare con lui.
I bambini diventarono grandi, non erano più così sicuri di aver ascoltato un tempo le storie di quella bellissima pianta; ricordavano però i pomeriggi di inizio estate, accovacciati su quei rami e con la faccia sporca di succo rosso… Raccontarono ai loro bambini dell’albero magico dalle castagne rosse come ciliegie, perché era bello comunque credere a questa favola: era bello per loro, troppo cresciuti per confessare la nostalgia di quegli anni di spensieratezza, di sogni e promesse solenni all’ombra del grande albero… ed era bello per i nuovi bimbi, che ci credevano e basta.
Così da allora e per tutti i bambini del paese, lui fu ufficialmente “Castagna”.
LE PAROLE DEL VENTO
Era notte ma qualcuno non dormiva ancora nella casetta dalle persiane color kiwi, o meglio in giardino: Castagna continuava a pensare al musetto imbronciato di Matilde.
«Sarà perché vuole darsi le arie da grande, visto che ha nove anni, anzi quasi dieci» diceva fra sé; «ma no, cosa vado a pensare, brutto albero testa di legno che non sono altro, sarà colpa del freddo invece».
Era stato un inverno particolarmente rigido, persino Castagna era ancora assopito ed avrebbe volentieri rimandato di un bel po’ il risveglio primaverile. Arrivare nella nuova casa con un giardino pieno di erbacce e foglie secche non doveva essere stato tanto piacevole per la bambina.
Avrebbe voluto parlare con lei ma era tanto tempo che non lo faceva più…
Erano passati diversi anni ormai da quando aveva salutato Nicola il giorno della sua partenza: si trasferiva all’estero dove i genitori avrebbero lavorato per una importante banca, un’occasione da non perdere insomma. Nicola, naturalmente, non la pensava così: lui avrebbe perso Castagna.
L’amico dai grandi rami, prima di vederlo partire con gli occhi lucidi l’uno e con le foglie tristi l’altro, gli parlò di un bosco proprio dalle parti in cui si sarebbe trasferito. Lì, ne era sicuro, viveva una delle sue sorelle…: «Comportati come si deve con Betulla, è sempre stata un tantino permalosa… ma potrai contare su di lei… Portale qualcuna delle mie ciliegie, le farà piacere e… salutala per me».
Si era accorto che Nicola aveva storto il suo nasino birbante sentendo chiamare ciliegie quelle che lui aveva battezzato “castagne magiche”.
Quel monello era stato il suo preferito… «Chissà se adesso ha dei bambini e chissà cosa racconterà di me e Betulla» pensava il grande albero. Sapeva che Nicola aveva messo a dura prova la pazienza della sorella la quale spesso gli aveva raccontato le marachelle del loro giovane amico…
Quando il Föehn soffiava forte, l’aria tiepida che gli fluttuava tra i rami sussurrava alle sue foglie le parole dei fratelli sparsi per il mondo.
Per gli alberi magici le distanze non contano: il vento trasporta i loro messaggi in qualsiasi luogo sperduto e sconosciuto della terra. Così un pensiero d’amore per la tenera espressione di meraviglia di un bimbo, resta sospeso sulla leggera brezza che si sente non appena i primi raggi del sole svegliano lentamente il mondo… Mentre i pensieri di rabbia per le lacrime di una giovane creatura, offesa con le parole o con la forza della crudeltà umana, si riversano nella violenza degli uragani come proclami di vendetta per un’ingiustizia che non avrà perdono.
Affidando i loro pensieri al vento, Castagna e tutti gli alberi magici si raccontavano ciò che accadeva ai “loro bambini”; così chiamavano i piccoli amici che conoscevano “il grande segreto”.
Lui e Betulla si somigliavano, più che nell’aspetto nel modo in cui condividevano il mondo dei “loro bambini”. Quelle giovani anime non avevano bisogno di qualcuno che gli spiegasse cosa fare e come comportarsi; loro volevano essere ascoltati, cercavano qualcuno che credesse, senza pregiudizi, alle loro fantasie… e anche alle loro bugie…
Come aveva detto quel giorno a Nicola, la sorella aveva un “caratterino” ma sotto la sua corteccia scorreva una linfa dolce come vaniglia: anche lei avrebbe perdonato l’esuberanza del ragazzino.
Sorrideva immaginando la faccia di quel birbante alla vista delle “noci magiche” di Betulla…
Da allora Castagna non aveva più conosciuto nuovi bambini: la gente del paese credeva di poter vivere meglio altrove, così erano in molti a partire ed i bambini che rimanevano… crescevano…
COME AI VECCHI TEMPI
«Ho deciso» pensò Castagna, «parlerò a Matilde!».
Ma doveva prepararsi, aveva bisogno di sgranchirsi: parlare con i bambini non è certo cosa da poco!
Giù, giù, in profondità, sotto la terra umida, sentì le sue grandi radici intorpidite e cominciò proprio da lì… «cric… cric…».
In quel momento chiunque fosse passato di lì avrebbe sentito quello scricchiolio, come fa il ghiaccio quando comincia a formare delle crepe prima di iniziare a sciogliersi lentamente… o come un antico mobile, di quelli grandi e alti che si usavano una volta, sempre pieni delle numerose e spesso inutili cose che una famiglia accumula, anno dopo anno e che, di quando in quando, si abbandonano a lievi e intervallati scricchiolii, come per cercare un nuovo assestamento, in attesa di contenere qualcosa in più…
Proseguì con il tronco, su… su… fino a raggiungere i rami: prima i più grandi, quindi i più sottili… finché sentì la linfa raggiungere la gemma più alta… Era pronto: «Come ai vecchi tempi» pensò.
Si schiarì la voce e con il ramo più vicino alla finestra di Matilde bussò delicatamente sui vetri: «tic, tic… tic….».
Neanche Matilde stava dormendo: pensava alla casa che aveva dovuto lasciare, alla sua scuola, agli amici e soprattutto alla sua amica del cuore, Veronica.
Nelle ultime settimane Veronica era cambiata, preferiva giocare con altre bambine e quando Matilde le aveva detto che si sarebbe trasferita in campagna, lei aveva risposto, mostrando i suoi dentoni da criceto e dandosi come il solito molte arie: «Capisco, allora diventerai una contadina e quando verrò a trovarti dovrò indossare gli stivali per non sporcarmi di fango…» e mentre diceva così arricciava il naso, come se stesse annusando un’enorme cacca!
«È tutta colpa dei miei genitori che hanno deciso di trasferirsi, se Veronica non è più mia amica» pensava Matilde, quando sentì una specie di ticchettio alla finestra: «tic, tic… tic…».
Aspettò un momento poi, incuriosita, scese dal letto e sbirciò fuori.
Sgranò gli occhi, poi se li strofinò con le dita e li aprì ancora di più… Là fuori c’era… un albero che… la chiamava?
«Non è possibile» disse a voce alta, «non è vero, sto solo sognando!».
Ma l’albero insisteva… ce l’aveva proprio con lei…
Matilde, dopotutto, non aveva paura e poi credeva di trovarsi in un sogno, quindi aprì la finestra. Che strano però: stava sognando ma sentiva lo stesso il freddo della notte…
«Chi sei?». Con la stessa naturalezza con cui la piccola aveva posto quella domanda, l’albero rispose: «Sono Castagna, l’albero del tuo giardino. Non mi hai visto oggi? Oppure eri troppo arrabbiata».
Matilde, quando riuscì a muovere la bocca che per la meraviglia era rimasta aperta a formare una grande “O”, rispose: «Non ero arrabbiata… e poi tu come fai a saperlo?».
«E’ semplice» disse Castagna, «sono magico!».
Matilde aveva proprio bisogno di parlare con qualcuno… o qualcosa… Lontana da quello che fino ad allora era stato il suo mondo, si sentiva veramente sola. L’indomani sarebbe stato il primo giorno nella nuova scuola, con i nuovi compagni che, come aveva detto Veronica, sarebbero stati di certo tutti rozzi e prepotenti e con gli stivali sporchi di fango…
Castagna la ascoltò, paziente e comprensivo, come un nonno che ascolta e consola il nipotino in cerca di conforto… e quando Matilde gli parlò degli stivali e del fango puzzolente, cercò di non ridere per non offendere la bambina che si era confidata con lui.
«Senza offesa Matilde» disse alla fine, «ma la tua amica “fanatica” ha le idee poco chiare riguardo alla vita qui in paese».
E le parlò della gente che abitava lì, persone semplici è vero, ma Castagna era sicuro che lei si sarebbe trovata bene.
Poi si salutarono: Matilde tornò nel suo letto quasi con gli occhi chiusi perché era ancora convinta di sognare e Castagna si addormentò, mentre sorrideva pensando al fango puzzolente di Veronica.
NON ERA UN SOGNO
Il primo giorno nella nuova scuola fu davvero piacevole per Luigino e Matilde; i nuovi compagni avevano persino organizzato una piccola festa di benvenuto.
Davvero non si aspettavano tanto affetto da quei bambini che non conoscevano nemmeno.
Tornando a casa Matilde cominciava a pentirsi di aver giudicato male i suoi compagni ancora prima di averli conosciuti: non sembravano né rozzi né prepotenti e la sua compagna di banco, Paola, era così simpatica… anche lei arricciava il naso come Veronica ma lo faceva solo quando sorrideva.
Così erano trascorsi alcuni giorni; Matilde qualche volta pensava ancora a Veronica e le capitava di sorridere ricordando che, in sogno, l’albero l’aveva chiamata “fanatica”. «Forse aveva ragione quell’albero, però… sarebbe bello se parlasse davvero!».
Papà Giorgio, intanto, aveva pensato di fare ordine anche in giardino: aveva raccolto le foglie secche, strappato le erbacce, tagliato il prato, sistemato la siepe e infine aveva dato una mano di vernice al cancelletto d’ingresso, naturalmente color kiwi.
«Davvero niente male!» osservò soddisfatto Castagna, mentre teneva d’occhio Billy che continuava ad annusarlo sospettoso.
Nonostante facesse ancora freddo, Matilde e Luigino giocavano spesso in giardino e Billy, che dal giorno del fatidico incontro con Castagna non aveva ancora dimenticato lo spavento e la vergogna subiti, ne approfittava per osservare l’albero. Si accucciava in un angolino sicuro e cominciava a scrutarlo: se si era mosso una volta, lo avrebbe fatto ancora… Ogni tanto interrompeva l’appostamento per sgranchirsi e, fingendo indifferenza, annusava l’aria stando bene attento però a non dare mai le spalle a Castagna.
Durante uno di quei pomeriggi, mentre Billy già da un po’ se ne stava seduto davanti al grande albero, fissandolo immobile e attento, i due fratelli, seduti sui gradini di casa, osservavano la scena, ciascuno immerso nei propri pensieri…
D’improvviso Luigino chiese alla sorella: «Secondo te parla anche con Billy?». Matilde lo guardava perplessa, così lui continuò: «Non cercare di prendermi in giro, ormai sono grande e certe cose le capisco. Pensa che fortuna avere un albero magico proprio in giardino; peccato soltanto che non posso raccontarlo ai miei compagni per via della promessa solenne…».
Luigino si era accorto quasi subito della “particolarità” di Castagna e non se ne era affatto stupito: trovava naturale arrampicarsi sui suoi forti rami ed ascoltarlo, mentre gli raccontava della gente che aveva abitato prima di loro la casetta dalle persiane color kiwi e di quanti bambini aveva conosciuto durante tutti quegli anni.
Naturalmente il bambino aveva dato la sua parola d’onore che avrebbe mantenuto il segreto ma con Matilde era diverso, perché lei era sua sorella.
Matilde intanto aveva ripreso quella sua espressione di meraviglia con la bocca aperta a forma di grande “O”: «Allora non era un sogno!» pensò. Ma siccome aveva nove anni, quasi dieci, fece finta di sapere già tutto, balbettando qualcosa: «Sì… certo… non volevo spaventarti… è per questo che non te l’ho detto…».
Quando finalmente rimase da sola in giardino, la ragazzina raccolse il suo coraggio e affrontò Castagna: «… Perché non hai più parlato con me?» chiese, cercando di fare la voce severa affinché non si notasse che stavolta aveva un poco di paura.
«Non fare finta con me, bambina» rispose Castagna, «io non solo riesco a parlarti ma posso anche leggere nel tuo cuore. Non devi avere paura di me».
Matilde, a pensarci bene, non aveva così paura di quel gigante con i rami: la sua voce era un po’ roca ma rassicurante e i suoi occhi color nocciola sembravano quelli del nonno. Così fece anche lei la promessa solenne di non rivelare mai il segreto, anche quando sarebbe diventata grande.
Poi raccontò al suo nuovo grande amico di quanto cominciasse a piacerle quel posto dove la gente le sorrideva anche senza conoscerla; gli parlò della nuova casa con quelle simpatiche persiane color kiwi…, di Paola… e adesso c’era lui…
Tra pochi giorni, il 21 Marzo, sarebbe stato il suo compleanno e con l’aiuto dei genitori avrebbe dato una festa in giardino: ci sarebbero stati i nonni e gli zii con i cugini e poi avrebbe invitato i nuovi compagni, di sicuro la sua nuova amica Paola e, naturalmente, anche Veronica.
«Pensi che verrà?» chiese la bambina, «Certo, ma con gli stivali!» e scoppiarono a ridere.
«A me piace qui» disse Matilde, «ma lei troverà di sicuro qualcosa da criticare». «Tu pensa ad organizzare la festa» rispose l’albero, «io penserò a prepararti un regalo che di sicuro lascerà a bocca aperta perfino la tua Veronica; ma non farmi domande, sarà una sorpresa!».
SORPRESA DI PRIMAVERA
Arrivò il giorno della festa e Matilde si svegliò molto presto quella mattina; doveva aiutare i suoi genitori a preparare i tavoli in giardino e a gonfiare i palloncini.
Mamma Ada, che nel loro ristorante faceva la cuoca, aveva preparato un sacco di cose buonissime tra salatini, pizzette, sformati, timballi, lasagne e, naturalmente, i dolci ed una magnifica torta di compleanno al cioccolato.
Papà Giorgio avrebbe pensato agli addobbi con festoni e nastri colorati; Luigino si era già messo a gonfiare i palloncini e Billy si divertiva a rincorrerli, mentre gli rimbalzavano sul naso.
Quella domenica mattina insomma nella casetta dalle persiane color kiwi erano tutti indaffarati: gli ospiti sarebbero arrivati all’ora di pranzo.
Per fortuna non era una giornata fredda, anzi c’era un bel sole che metteva allegria e poi era anche il primo giorno di primavera!
«Forza, cominciamo ad allestire il giardino» disse Giorgio ai bambini e aprì la porta di casa ma… non riuscì a fare un solo passo… sembrava incantato.
Incuriositi arrivarono Luigino, Matilde, Ada e anche Billy e tutti fecero la stessa faccia: quella con gli occhi sgranati e la bocca aperta a forma di grande “O”, anche se a Billy non veniva proprio la “O”…
Il grande albero del loro giardino era… fiorito!
Centinaia e centinaia di piccoli fiori bianchi ricoprivano i suoi rami così da farlo sembrare una grande, incredibile, candida, splendida nuvola.
Certo avrebbero dovuto insospettirsi, almeno Giorgio e Ada, per quel singolare castagno… ma la confusione del trasloco non gli aveva permesso di riflettere sul fatto che in quel periodo l’albero avrebbe dovuto avere un aspetto differente, se davvero fosse stato un castagno. C’è da dire poi che nessuno in famiglia poteva definirsi un esperto in materia di piante.
IL REGALO PIÙ BELLO
Cominciò la festa con i parenti, gli amici, i regali, gli auguri, i giochi e le risate.
Persino Veronica non trovò nulla da criticare anzi, nonostante i suoi dentoni da criceto, anche lei rimase per un bel po’ incantata, con la bocca aperta a formare la famosa grande “O”, davanti al magnifico spettacolo dell’albero in fiore.
E Billy? Una cosa era certa: mai più avrebbe fatto pipì ai piedi di quella “cosa meravigliosa”!
«Grazie Castagna, il tuo è il regalo più bello!» disse Matilde sottovoce, felice perché ora si sentiva davvero “a casa”.
Nessuno tra gli invitati si accorse di quel ramo che abbassandosi lentamente sfiorò la guancia della bambina, con un ciuffo di fiori appena sbocciati…
Quella sera una leggera, tiepida brezza primaverile, raggiunse le valli più lontane e le vette più alte, percorse campi innevati e distese verdeggianti, fino a raggiungere un bosco incantato e lì… accarezzando la corteccia di Betulla, sussurrò una storia di amicizia tra una bambina e un grande Albero Magico…
“Grazie Castagna”
~ 2 MARZO 2007 ~